Bloccare le fabbriche per dire no al fascismo, scioperare per ottenere salari più dignitosi, incrociare le braccia per chiedere la pace: è il marzo del 1943 quando i lavoratori diventano protagonisti di giornate che passeranno alla storia.
Ma come prendono il via quelli che passeranno alla storia come gli scioperi del marzo 1943?
Torino: dove iniziano gli scioperi del 1943
Tutto comincia a Torino. È il 5 marzo del 1943 quando gli operai della Mirafiori di Torino si fermano, in quello che definiscono il “primo atto di resistenza di massa di un popolo assoggettato a un regime fascista autoctono”.
Al grido di «vogliamo che le 192 ore siano pagate a tutti! Vogliamo il carovita! Vogliamo la pace!» bloccano la produzione e colpiscono il regime. È un successo: nel 1943 gli abitanti di Torino sono 600.000, i lavoratori che incrociano le braccia sfiorano quota 100.000. Un sesto dell’intera popolazione che vive all’ombra della Mole si ferma. L’Unità titola: “In tutto il Paese si segua il loro esempio per conquistare il pane, la pace, la libertà“.
Presto, altri lavoratori seguono l’esempio e lo sciopero si diffonde. L’impresa degli operai torinesi supera i confini regionali e arriva anche alle orecchie dei milanesi. A Sesto San Giovanni, in particolare, gira la voce tra i reparti della Falck Concordia: «Vogliamo 25 lire di aumento all’ora!». Parla un operaio, il Lorenzi: «La va male, qua! Come si fa a mangià? Tutto aumenta e noi ‘un ci aumentano mai!». Alla Meccanica hanno preso una decisione: lo sciopero è fissato per martedì 23 marzo.
22 marzo:iniziano gli scioperi a Milano
Ma c’è chi non riesce più ad aspettare: il giorno prima si fermano le operaie della Bulloneria. In un telegramma che il prefetto invia preoccupato a Roma, si legge come motivazione «… insufficienza paga inadeguata carovita».
Ed è così che anche i cinquecento della Meccanica si fermano quello stesso giorno. È il 22 marzo del 1943 e i lavoratori incrociano le braccia.
I motivi ce li spiega ancora il Lorenzi: «Ero il fiduciario del reparto. Venne da me subito il caporeparto. “Che vogliono?” – “25 lire di aumento vogliono, non si può più andà avanti, aumenta tutto aumenta! Niente politica ingegnere, non c’entra la politica”».
Ma nel pieno di una guerra disastrosa, sotto una dittatura che vieta lo sciopero e sopprime il conflitto sociale, ogni espressione di malcontento ha valore politico. Le proteste contro il pesante peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro si intrecciano con l’azione della rete clandestina antifascista, presente come un sottile filo rosso nella “città delle fabbriche”. Tra chi lo tesse troviamo un nome ricordato anche da una delle lapidi presenti nel nostro quartiere: Ercole Bazzoni, operaio della Breda. Insieme a lui anche Giulio Casiraghi che lavora invece alla Ercole Marelli e sarà uno dei 15 uomini a perdere la vita nell’eccidio del 10 agosto 1944.
L’azione di pochi e risoluti militanti antifascisti entra in contatto con donne e uomini che non ne vogliono più sapere del fascismo, della fame, dei bombardamenti, della guerra.
Non è la prima volta che accade qualcosa di simile: quasi un anno prima, il 26 maggio del 1942, duecento donne, davanti al Comune, avevano manifestato «…il loro malcontento per l’insufficienza dei generi contingentati e per chiedere che anche loro venisse distribuita una certa quantità di patate primaticce come a Milano». Il giorno dopo le donne che aderiscono agli scioperi del marzo 1943 erano trecento.
Per ammissione fascista, i viveri assegnati con la tessera ai lavoratori e alle loro famiglie non garantiscono nemmeno la metà delle calorie necessarie: scarseggia il latte, la verdura è poca e di pessima qualità, i grassi e la carne sono scarsi. Alla borsa nera un kg di riso costa 25 lire, quasi dieci volte il prezzo legale. Non va meglio con il burro: un etto costa 16 lire, sei volte il prezzo legale.
Passata la sorpresa, i fascisti entrano alla Meccanica: «… armati di legno a imporre l’operai di lavorà… Arrestarono 8 operai al Concordia. Ma non riuscirono a fa’ lavorà nessuno…», dice il Lorenzi.
La definizione degli scioperi del marzo 1943 è di Timothy W. Mason, Gli scioperi di Torino del marzo 1943 in INSML, L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza, Franco Angeli, 1988.
Il racconto dello sciopero alla Falck del 22 marzo ’43 e le notizie sulle lotte sociali e in fabbrica in:
Franco Alasia, La vita di prima, Vangelista, 1984;
Vittorio Rifranti, Una città industriale nella guerra: alimentazione, condizioni di vita e lavoro a Sesto San Giovanni 1940 – 1943 in IMSRMO, Annali 4, Franco Angeli, 1995.
Giuseppe Vignati, I ribelli al governo della città. Sesto San Giovanni 1944-1945, Franco Angeli, 1988.
Le difficoltà di approvvigionamento alimentare e i prezzi alla borsa nera in:
Renzo De Felice, Mussolini l’alleato 1940 – 1945. II La guerra civile (1943 – 1945), Einaudi, 1998;
Miriam Mafai, Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, Rizzoli, 2022.