Emidio Mastrodomenico e l’ingresso nella Resistenza
Non sappiamo nulla delle sue idee e della sua visione delle cose prima della scelta di entrare nelle file della Resistenza. Il paese da cui proviene, non lontano da Cerignola dove è cresciuto Giuseppe Di Vittorio, è stato teatro nei primi anni ’20 di fortissime lotte bracciantili represse dalla violenza squadristica dei fascisti al soldo dei grandi proprietari terrieri.
Dalle poche note biografiche in nostro possesso possiamo presumere che Emidio Mastrodomenico appartenesse a una famiglia contadina relativamente agiata (aveva potuto far studiare il figlio) e con aspirazioni proprietarie, estranea al clima delle mobilitazioni bracciantili. La sua assunzione in polizia lascia immaginare che il ragazzo non fosse sospettabile di opinioni o azioni politiche avverse al Regime.
All’indomani dell’8 settembre i commissariati di polizia – e quello di Lambrate dove Mastrodomenico lavora non è diverso – sono diventati covi di spie e di delinquenti in cerca di protezione politica. Emidio matura in questo contesto la scelta di schierarsi attivamente con il movimento partigiano.
L’iscrizione negli Albi dei Caduti per la Libertà in provincia di Novara e in Valsesia, compilato dall’ANPI, ci fa capire di un suo impegno nella Resistenza condotto in collegamento con formazioni partigiane di altri territori. Egli stesso è animatore di un GAP (Gruppo d’Azione Patriottica) dove sono presenti molti suoi colleghi, che agisce in stretta relazione con altre brigate partigiane milanesi.
Cosa abbia spinto Emidio Mastrodomenico a fare la scelta antifascista non ci è possibile dirlo, a causa della scarsità di informazioni di cui disponiamo. Ma non possiamo fare a meno di pensare alla voglia di libertà e all’ostilità per l’occupante nazista che si respira a Milano in quei mesi di guerra, alla crescente capacità delle organizzazioni della Resistenza di ramificarsi nel tessuto della società milanese, di raggiungere un numero sempre maggiore di cittadini coinvolgendoli nella lotta contro la Repubblica Sociale Italiana: aspetti di contesto, questi, da cui non può prescindere una ricostruzione delle scelte di questo giovane agente di polizia probabilmente senza una coscienza politica, poi diventato partigiano.
L’arresto
Mastrodomenico viene arrestato in piazza San Babila da agenti della SIPO, il servizio di sicurezza tedesco, in seguito alla soffiata di un collega precedentemente catturato. La data dell’arresto è controversa: il quotidiano comunista L‘Unità e una lettera dell’ANPI di Milano indirizzata al sindaco di San Ferdinando di Puglia nel 1959 parlano del 16 aprile 1944, altre fonti del 29 luglio. I registri di San Vittore indicano il 30 giugno come data di arrivo nel carcere milanese, dopo un pesante interrogatorio subito presso l’Hotel Regina, sede della Gestapo a Milano, il giorno precedente. Questo lascia presumere che la data più veritiera dell’arresto di Mastrodomenico sia il 29 giugno.
Emidio Mastrodomenico viene rinchiuso nel sesto raggio, quello dei prigionieri politici: cella n. 136, matricola n. 2425. I suoi compagni di prigione, a causa del lavoro che fa, sospettano di lui, credono sia un infiltrato. Devono però ricredersi di fronte alle torture e alle sevizie che vengono inflitte al “poliziotto” con l’obiettivo – non raggiunto – di farlo parlare.
Nella lettera di ANPI del 1959 già citata si legge: Gli altri detenuti politici, saputo che il Mastrodomenico proveniva dagli agenti di PS, dapprima diffidarono di lui, ritenendo che fosse stato unito a loro per fare la spia, ed allora egli dovette rivelare ad essi chi era e le azioni che aveva compiuto. Sebbene le sevizie e le torture inumane che come era loro abitudine usarono contro di lui i fascisti, egli si mantenne coraggiosamente e nulla poterono apprendere i nemici d’Italia.
All’alba del 10 agosto 1944 Emidio Mastrodomenico viene prelevato dal carcere milanese, come altri 14 compagni, forse proprio a causa del suo mestiere di poliziotto, a mo’ di monito per gli altri antifascisti annidati nei corpi di polizia. È tra coloro che moriranno in Piazzale Loreto, fucilati dai miliziani fascisti della Legione Muti.
La sua salma viene inumata nel Cimitero Maggiore di Milano, nel campo 64 denominato “Campo della Gloria”.
I genitori sapranno dell’uccisione del figlio soltanto alla fine della guerra.