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Giuseppe Ceccatelli

Giuseppe Ceccatelli e Lidia Colombo, l’amore al tempo delle leggi razziali

Non lontano da piazza Morbegno c’è un portone che ci racconta una storia: siamo via Oxilia, all’altezza del numero 21, un edificio oggi giallo sgargiante. Davanti al grande portone in legno troviamo un’altra pietra d’inciampo sulla quale si legge: «Qui abitava Giuseppe Ceccatelli. Nato 1912. Arrestato 30.11.1943. Deportato Mauthausen. Assassinato 22.6.1944 Gusen».

La sua storia si interseca per un breve momento con quella dei fratelli Dolci: Giuseppe Ceccatelli viene infatti deportato con il convoglio numero 25 insieme a Pietro e Cecilio. Le vicende che l’hanno condotto su quel convoglio sono, però, molto diverse.

Il nome di Giuseppe Ceccatelli non compare nelle lapidi presenti nel nostro quartiere dedicate ai caduti nella lotta di liberazione. Ma, come vedremo, Giuseppe è a modo suo un combattente e la sua morte ha dei contorni commoventi poiché rappresenta il tragico epilogo di una storia d’amore.

 

Il matrimonio fra Giuseppe Ceccatelli e Lidia Colombo

Siamo nel 1941, Giuseppe Ceccatelli è un commerciante. Cattolico, sposa Lidia Colombo, ebrea, nonostante le leggi razziali ormai in vigore da tre anni.

Questo matrimonio nell’Italia di quel periodo non è un caso isolato. Tra il 1935 e il 1937, secondo gli studi di Sarfatti, a Milano la percentuale di ebrei sposati con non ebrei è pari al 36%. Ci saranno matrimoni di questo tipo anche in seguito, nonostante il Regio Decreto Legge del 17 novembre 1938 contenente i Provvedimenti per la difesa della razza italiana reciti: «Il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito. Il matrimonio celebrato in contrasto con tale divieto è nullo». Alcuni sacerdoti celebrano infatti matrimoni privi di diritti civili tra cattolici ed ebrei: tra questi, anche quello tra Giuseppe e Lidia.

 

L’arresto di Giuseppe Ceccatelli

Due anni dopo il matrimonio, il 29 ottobre 1943, il fratello di Lidia, Tullio, viene arrestato e portato nel carcere di San Vittore. È Lidia a ricordare le circostanze dell’arresto:
«Milano, dopo l’8 settembre, non era più una città sicura per noi ebrei. La mia famiglia, quindi, si sparse in varie località. Con mio marito, Beppe Ceccatelli, che non era ebreo, mio fratello Tullio, la moglie e la loro bambina di quattro mesi trovammo rifugio a Erve, sopra Lecco. Un fratello si era unito ai partigiani, un altro, Ezio, era riuscito a passare in Svizzera; i miei genitori, invece, erano stati respinti per le cattive condizioni di salute di papà. Le mie sorelle, infine, si erano nascoste in diverse città. Verso la fine di ottobre, Tullio fu avvertito, non ricordo più da chi, che il suo negozio a Milano “Lo Sportivo” era stato svaligiato e che quindi la sua presenza era richiesta con urgenza. Era una trappola… A denunciarlo era stato un ex commesso». E aggiunge: «Non ci restava che fuggire, prima che i tedeschi risalissero a noi».

Lidia si nasconde a casa dei suoceri, non prima di aver messo in salvo i suoi genitori in una casa di riposo in Brianza. Tullio, dal carcere, riesce a informare la famiglia della possibilità di pagare un riscatto per ottenere la scarcerazione. Giuseppe raccoglie e recapita la cifra richiesta, ma Tullio Colombo viene ucciso ugualmente (la sua salma non sarà mai ritrovata).

Il 30 ottobre i nazifascisti fanno irruzione nella casa dove Giuseppe e Lidia hanno trovato rifugio. Prima di aprire la porta, Giuseppe riesce a nascondere Lidia sotto un camion parcheggiato nel cortile e ai fascisti dice di averla accompagnata in Svizzera. I fascisti gli assestano un ceffone, ricordandogli che «proteggere un’ebrea è peggio che uccidere». Perquisiscono la casa e poi, non soddisfatti, lo portano via.

Da San Vittore Lidia riceve una meravigliosa lettera d’amore: Giuseppe si dichiara “felice” di essere stato arrestato al suo posto e la implora di mettersi al sicuro. Non si vedranno più e Lidia non si risposerà mai. Con l’accusa di aver protetto la moglie ebrea, Giuseppe Ceccatelli è trattenuto per quasi tre mesi a San Vittore. Viene poi deportato a Mauthausen con il trasporto 25, partito da Torino il 18 febbraio e giunto a destinazione il 21 febbraio 1944. Gli viene assegnata la matricola 53379. Trasferito a Gusen, muore il 22 giugno 1944.