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Ines e Olga Revere

Olga e Ines Revere, sarte e modiste

Olga e Ines Revere sono due sorelle ebree, nate rispettivamente il 30 marzo 1897 e il 2 aprile 1902. Sono mantovane, ma da bambine si sono trasferite a Milano e negli anni Quaranta abitano in viale Monza 90.

In quella casa, prossima ai binari che attraversano il viale e portano alla stazione Centrale, non mancano rocchetti, aghi e fili: Olga e Ines lavorano come sarte e modiste per una clientela privata. Una professione comune presso la comunità ebraica, come si legge nel libro di Michele Sarfatti Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione

«Negli anni Trenta gli ebrei costituivano circa l’1,1 per mille dell’intera popolazione d’Italia. […] Il 20-25% degli italiani attivi, aventi un genitore ebreo o ex ebreo, si occupava – con diverse mansioni – della produzione e del commercio di prodotti tessili e per l’abbigliamento».

Olga e Ines non sono sole, hanno altre due sorelle: Nina, sposata con un marinaio imbarcato sulle rotte transoceaniche, muore nel 1940; Ida rimane vedova nel 1933 con due figli.

Nel 1942 la famiglia, ormai composta da donne e bambini, lascia Milano e si trasferisce nei pressi di Stresa, sul lago Maggiore: la decisione è probabilmente dovuta all’intensificarsi dei bombardamenti sulla città. Infatti, se fino a quel momento Milano non è stata oggetto di attenzioni particolari da parte del Bomber Command britannico, dall’autunno del 1942 la situazione cambia e le strade si riempiono di macerie e di morti.

 

Olga e Ines Revere e le persecuzioni antiebraiche

I bombardamenti non sono però l’unica minaccia che incombe sulla famiglia Revere: nell’ottobre 1943 in Italia prende avvio la persecuzione degli ebrei mirata allo sterminio. Dapprima sono poco più di una decina le SS che, sotto il comando di Theodor Dannecker, conducono i rastrellamenti, arrestando gli ebrei che risiedono nelle principali città. Le milizie delle SS sono spietate e spesso agiscono il sabato, giorno santo per gli ebrei. Ben presto, però, i rastrellamenti si intensificano.

Nonostante l’aumento degli arresti e delle deportazioni, Ines e Olga Revere decidono di rientrare a Milano. Non si sa quando e perché maturino questa decisione, ma non si può escludere che non si sentissero più sicure dopo la strage che costò la vita a 54 ebrei a Meina, sulle sponde del lago Maggiore.

Intanto, a Milano si moltiplicano i rastrellamenti. Con il Manifesto di Verona, promulgato il 14 novembre 1943, il Partito Fascista Repubblicano stabilisce che «gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». Due settimane dopo, un ordine di polizia dispone l’arresto di tutte le persone di origine ebrea, il loro internamento in campi di concentramento e il sequestro dei loro beni, mobili e immobili. Pochi giorni dopo quest’ordine, il 3 dicembre, Ines e Olga Revere vengono arrestate. A segnalarle ai fascisti, si ipotizza, è il proprietario di un’officina meccanica che si trova sotto la loro abitazione di viale Monza.

In quei giorni, in una città dove la morsa sulla comunità ebraica si fa più stringente, Ines e Olga non sono le uniche a essere deportate. La scrittrice Michela Fernanda Momigliano scrive sul suo diario: 

«Circolano per le strade di Milano gli sgherri della repubblica fascista in automobili, con armi spianate, alla ricerca di ebrei. È stato fissato un premio di 9000 lire [poche centinaia degli attuali euro] per ogni ebreo che viene consegnato, anche per i bimbi… Salgono su tutti i treni, entrano in tutte le portinerie, dove contrattano per dividersi i guadagni». Si è avviato un commercio sulla pelle degli ebrei, che coinvolge sia semplici cittadini, sia le autorità civili, politiche e militari.

 

Ines e Olga Revere: San Vittore e la deportazione

Le sorelle Revere vengono portate nel carcere di San Vittore, come gran parte degli ebrei arrestati a Milano e nell’Italia settentrionale. Milano è il principale snodo della deportazione e sotto il comando di Otto Koch, sottufficiale SS incaricato della persecuzione antiebraica, le condizioni nel carcere milanese sono durissime. Nel libro di Giuseppe Mayda Ebrei sotto Salò. La persecuzione antisemita 1943-1945 si legge: 

«Agli ebrei, chiusi a San Vittore negli stanzoni all’ultimo piano del quinto “raggio” – e così gelidi, nell’inverno 1943-1944, che sui pavimenti dei corridoi si era formata una patina di ghiaccio – erano negati anche i pochissimi diritti concessi agli altri detenuti, “politici” e “comuni”: l’ora d’aria nel cortile, la possibilità di ricevere pacchi, la corrispondenza con le famiglie, l’acquisto di generi alimentari o di conforto allo spaccio della prigione, l’assistenza medica».

Dagli studi della storica Liliana Picciotto Fargion apprendiamo che, all’inizio di dicembre 1943, la sezione ebraica di San Vittore è talmente affollata da richiedere l’organizzazione di un convoglio verso Auschwitz-Birkenau. Il 5 di quel mese, infatti, viene annunciata la partenza e fatto l’appello. Il giorno successivo, in una polare alba milanese, i prigionieri vengono portati, con camion coperti da teloni, nei sotterranei della stazione Centrale dove si trova il binario 21. Di quei momenti un testimone racconta: 

«Quel giorno il morale variava da persona a persona: i più sopportavano con serenità la loro sorte, qualcuno si disperava e un ebreo molto anziano, nel pomeriggio, si uccise gettandosi dalla balconata dell’ultimo piano del “raggio” dopo aver tentato di indurre altri compagni a fare lo stesso. Si diceva che il viaggio sarebbe durato otto giorni, che la meta sarebbe stata la Polonia o, più probabilmente, il campo di Theresienstadt. La mattina di domenica 30 le Transportlisten – diciotto fogli battuti a macchina fitti di nomi, in tutto 546 persone di cui venivano indicati cognome, nome, data di nascita, luogo di residenza, professione, stato civile e nazionalità – erano pronte: a ogni deportato fu consegnato un cartellino con un numero, da portarsi appeso al collo con lo spago, una pagnotta, un po’ di formaggio e di salame».

Il 30 gennaio 1944, Olga e Ines Revere vengono stipate insieme ad altre 600 persone sul convoglio numero 6. Il treno arriva ad Auschwitz il 6 febbraio. Secondo i documenti conservati nell’archivio del Museo di Auschwitz, 97 uomini sono ritenuti idonei al lavoro e sono immessi nel campo con i numeri di matricola da 173394 a 173490; 31 donne sono immatricolate con i numeri da 75174 a 75204. Secondo il Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC) i sopravvissuti di questo convoglio sono 20.

In quella lista di 20 nomi non ci sono quelli delle sorelle Revere, che da Auschwitz non faranno mai ritorno. Sui documenti che parlano di loro si legge l’espressione “Immatricolazione dubbia”, una formula con cui la storica Liliana Picciotto Fargion indica tutte le situazioni in cui non è stato ancora possibile stabilire se la persona è stata introdotta nel lager oppure è morta nel corso del viaggio di deportazione o, ancora, è stata inviata alle camere a gas subito dopo l’arrivo. 

All’arrivo ad Auschwitz, Olga Revere non ha ancora compiuto 47 anni, Ines ne ha 42. Oggi, due pietre d’inciampo le ricordano presso la loro ultima abitazione in viale Monza 90 e sono affidate alla nostra sezione .