Salvatrice Benincasa, nome di battaglia “Mara”
L’elenco delle persone ricordate nella lapide di piazza Morbegno è lunghissimo e tante sarebbero le storie da raccontare. Un nome però è diverso da tutti quelli incisi nelle altre 14 lapidi di cui la nostra sezione si prende cura: è quello di Salvatrice Benincasa, l’unico nome di donna fra quei circa 90 di cui custodiamo la memoria.
La storia di Salvatrice inizia molto lontano dal nostro quartiere e finisce poco fuori dai confini di Milano, a Monza. Non sono molte le informazioni che ci restano di lei.
Salvatrice nasce a Catania il 5 gennaio 1924 da una famiglia antifascista. Dopo un primo trasferimento a Trieste, per motivi di lavoro del padre, nel 1939 i Benincasa si spostano a Milano, in via Savona 17 (zona Navigli). Nel capoluogo lombardo, Salvatrice inizia a lavorare alla Montecatini e, nel luglio 1944, entra a far parte delle Brigate Matteotti con il nome di battaglia “Mara”.
Mentre esegue un incarico che le è stato affidato, Salvatrice viene fermata a Monza e catturata dalle SS. Nonostante le torture che è costretta a subire, rifiuta ogni forma di collaborazione e, per questo, il 17 dicembre 1944 viene uccisa sul ponte di via Mentana. Il giorno successivo il suo cadavere viene ritrovato senza documenti nel cimitero di Monza. Salvatrice viene sepolta come “sconosciuta” e rimarrà tale fino all’aprile 1945, quando la salma sarà riesumata e riconosciuta dalla madre Lucia.
Di quel giorno rimane una breve testimonianza raccolta da ANPI Catania. Mirella Torchio abita coi genitori, due sorelle e due fratelli nel palazzo a fianco alla Casa della Gioventù Italiana del Littorio (GIL, organizzazione unitaria delle forze giovanili del regime fascista), luogo in cui Salvatrice è detenuta. La famiglia, profondamente impegnata nella Resistenza, il 17 dicembre viene chiamata dal custode della GIL: l’uomo chiede alla madre di Mirella di fare qualcosa per una giovane donna che versa in gravi condizioni per i pestaggi subiti. Mirella, allora bambina, ricorda che la mamma disse che era una partigiana e che era «conciata». Nonostante questo, la mattina dopo quella giovane donna, Salvatrice Benincasa, giace a terra sul ponte, uccisa.