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Maria Montuoro

Per raccontare la storia di Maria Montuoro, occorre narrare la vicenda di due intere famiglie: i Cuffaro e i Montuoro. Una storia fatta di legami profondi, un intreccio di vite unite non solo dal sangue, ma anche dalla lotta contro il fascismo. È la storia della Resistenza di un’intera famiglia.

 

Maria “Mara” Montuoro e la Resistenza di due famiglie

Maria Montuoro, detta Mara, nasce a Palermo il 16 ottobre 1909, ma vivrà gran parte della sua vita a Milano, in via Lazzaroni 12 (non lontano dalla Stazione Centrale). Ha una sorella, Ersilia e tre fratelli: Alfonso, Ippolito e Francesco.

Maria rimane nubile, mentre Ersilia e Alfonso sposano, a loro volta, due fratelli: Alfonso e Maria Cuffaro. Insieme, le due coppie e Maria Montuoro si impegnano attivamente nella Resistenza. In particolare, Alfonso Cuffaro, parte dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), allestisce una tipografia clandestina per stampare materiali antifascisti nella sua villa di Belgioioso, in provincia di Pavia.

Sul finire di febbraio 1944 i fascisti fanno irruzione in via Lazzaroni per arrestare Alfonso Montuoro. A tradirlo è un semplice taccuino: un ragazzo, catturato pochi giorni prima, aveva con sé un quaderno su cui era annotato un nome, Ninì (soprannome di Alfonso). Sottoposto a interrogatorio e sopraffatto dalla paura, rivela l’identità di Alfonso Montuoro e il suo indirizzo.

L’arresto di Maria Montuoro

Qualche giorno dopo, la Guardia nazionale repubblicana arresta a Belgioioso anche Maria Mara Montuoro; ai fatti assistono i genitori e la sorella Ersilia che racconta:

«Entrai nella camera di Mara. Tra i libri, [il militare aveva] già trovata la lettera da lei scritta a uno zio per esortarlo a non asservirsi alla “Repubblichetta di Salò”. Era una lettera che avevo molto ammirata: denunciava con molta chiarezza, le infamie degli ultimi vent’anni culminanti nell’occupazione nazista e nel vigliacco intervento di Mussolini proprio nel momento in cui la Francia era stata invasa. Gli diceva come noi italiani dovevamo lavare quest’onta prendendo posizione contro i nazifascisti. Una lettera che avevo definita meravigliosa. Ma il “biondo” la pensò diversamente: teneva il foglio fra pollice e indice, ben lontano da sé, come cosa infetta, chiedendo: “Chi ha scritto questo capolavoro?” Con un bagliore di sfida, Mara rispose: “Io”. Il corpo di mia madre sussultò, io stavo per svenire. “Te ne vanti anche! E perché l’hai scritta?”. “Perché l’ho sentita”. “Con questi sentimenti, dieci anni di carcere non te li leva nessuno”».

Dopo l’arresto, Maria Montuoro viene portata nel carcere di San Vittore, dove viene torturata. Nonostante le difficoltà, Maria è di conforto per le altre detenute e compone persino parodie di canzoni in voga con testi antifascisti: una di queste racconta la vita in carcere nell’aspetto forse più duro. Il ritornello, infatti, è incentrato sulle risposte ripetute dai detenuti e dalle detenute sotto interrogatorio a San Vittore durante il nazifascismo.

Maria Montuoro

Maria verrà lungamente battuta con un nerbo di bue da una donna che parla con accento tedesco. È però Cuffaro quello sospettato di aver tessuto i collegamenti e contro di lui si accaniscono bestialmente: lo frustano col nerbo e con una catena, gli lesionano i polsi con i ferri a vite, lo prendono a calci e a furia di pugni gli fratturano la mandibola da entrambe le parti.

Borgomaneri

La deportazione di Maria Montuoro: da Fossoli a Ravensbrück

Sul finire di aprile del 1944, Alfonso e Maria Mara Montuoro, insieme ad altri 300 detenuti tra cui Davide Carlini, vengono deportati a Fossoli. Nonostante il miglioramento rispetto alla condizione carceraria, gli internati e le internate sanno che la loro sorte è sospesa a un filo, ma alcune persone si illudono di rimanere a Fossoli, o di essere scarcerate.

Lo storico Mimmo Franzinelli racconta che, durante la prigionia a Fossoli, a Maria Montuoro sarebbe stata offerta un’alternativa alla deportazione: entrare in una lista di liberi lavoratori diretti in Germania. Lei rifiuta e sceglie consapevolmente la deportazione in un campo di sterminio, venendo così destinata a Ravensbrück. A conferma di questa scelta, Ersilia Montuoro riporta quanto appreso da un partigiano informato sulla situazione di Fossoli nell’estate del 1944: i nazisti, sotto pressione perché la zona stava diventando sempre più pericolosa, avevano fretta di sgomberare il campo e di consegnare un numero stabilito di prigionieri alla Todt.

Maria viene a sapere, grazie a una compagna fidata, di essere tra coloro destinati alla Todt e chiede un incontro con il maresciallo delle SS Hans Haage:

«È vero che l’adesione alla Todt è obbligatoria?»
«Certamente: dovete lavorare».
«Lo capisco, ma se non mi va di accettare il contratto?».
«Andrai in campo di concentramento».
«Va bene, preferisco».
«Non tornerai più indietro, ti rendi conto?».
«Sì».

In seguito a questo colloquio, Maria Montuoro viene deportata a Ravensbrück sul finire di luglio del 1944. Le viene assegnato il numero di matricola 49566.

 

Le fabbriche di Ravensbrück

Nel campo, Maria Montuoro inizia a lavorare per la Siemens, che ha uno stabilimento poco fuori dal muro di cinta di Ravensbrück. Il capannone cui è destinata è la Halle 8, pieno di macchine bobinatrici che fanno un rumore infernale.

Racconta Lidia Beccaria Rolfi, compagna di lavoro di Maria Montuoro:

«Il lavoro in sé non sarebbe pesante; sono le condizioni in cui siamo costrette a lavorare che lo rendono tale, sono le ore di lavoro, i ritmi, la denutrizione. Entriamo in fabbrica dopo l’appello generale del mattino e l’appello del lavoro, verso le 7 circa, quando già da più di tre ore siamo in piedi, e lavoriamo fino a mezzogiorno con una pausa brevissima, meno di mezz’ora, per mangiare la zuppa che viene distribuita fuori all’aperto. La zuppa che arriva dal campo è quasi sempre fredda, immangiabile, peggiore, oserei dire, di quella che ci davano al campo grande. Il lavoro riprende subito dopo il pasto e continua fino a sera».

La disciplina all’interno dello stabilimento è garantita dal personale civile dipendente da Siemens e da alcune deportate incaricate di sorvegliare le altre. Le punizioni sono numerose e severe: anche un semplice gesto, come parlare con una compagna mentre si lavora, può comportare la privazione della zuppa o del pane per un intero giorno. Le pene diventano ancora più gravi, arrivando fino all’impiccagione, per chi non rispetta le quantità di produzione stabilite o viene sospettata di sabotaggio.

Nonostante questo, Maria Montuoro è abilissima a rovinare i pezzi. Lavora nel posto peggiore della Halle 8, occupandosi dell’ultimo anello della catena di montaggio, e maneggia un acido tossico; tuttavia non fa nulla per avere un posto migliore, pur di sabotare metodicamente, specie nel turno di notte, i condensatori che realizza.

Oltre a essere un’abile sabotatrice, Maria Montuoro è appassionata di letteratura e durante il suo internamento riesce a tenere con sé una copia della Divina Commedia, che fa leggere ad alcune compagne, offrendo loro un’ancora di speranza e conforto. Inoltre, scrive parodie e poesie come forma di resistenza e per mantenere viva la sua umanità in mezzo all’orrore.

 

La liberazione di Maria Montuoro

I giorni nel lager sono tutti uguali, durissimi e tremendi per Maria Montuoro e le sue compagne, ma l’inferno sta per finire: il 26 aprile 1945, le SS obbligano le donne di Ravensbrück a uscire e marciare in colonna. Il Reich sta crollando, e quello è l’ultimo disperato tentativo di nascondere l’orrore perpetrato in quel lager, come in tanti altri. In quel momento di caos, Maria Montuoro riesce a fuggire e a mettersi in salvo, tornando finalmente a casa.

Non tutti i suoi familiari avranno la stessa fortuna: il fratello Alfonso Montuoro non farà ritorno da Mauthausen, mentre Alfonso Cuffaro morirà nel 1949 a causa delle torture subite durante la detenzione (oggi è ricordato in una lapide posta in via Soperga 47).

Una volta tornata a casa, Maria “Mara” Montuoro dà vita a racconti e poesie che testimoniano la durissima vita del campo. È morta il 4 marzo 2001 e, nel marzo 2025, le è stato intitolato il giardino di piazzetta Transiti (zona Pasteur).