Roberto Pollastri, ricordato nella lapide di via Padova 61, nasce a Milano il 10 novembre del 1905. Abita in via Lulli, 28 e di mestiere fa il cesellatore.
È uno dei componenti del Centro interno socialista, nel quale opera a stretto contatto con il responsabile operaio, Marco Riccardi. Il legame tra i due, definiti dallo storico Stefano Merli «magnifiche figure di militanti operai», è testimoniato anche dal fatto che il primo arresto di Pollastri e l’assassinio di Riccardi accadono nella stessa circostanza.

”Roberto Pollastri appartenente alla sezione milanese del fronte unico antifascista, nel settembre 1935, mentre portava materiale propagandistico proveniente dalla Svizzera, fu arrestato vicino a Como.
Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza
Le circostanze dell’arresto di Roberto Pollastri
Il 16 novembre 1935, sul giornale del Partito socialista italiano, Il Nuovo Avanti, si poteva leggere un articolo centrale in prima pagina: «Tre settimane addietro il nostro giornale dava notizia, in base ad informazioni incomplete ricevute da Milano, che alcuni operai milanesi e comaschi erano stati arrestati per motivi che ancora non si conoscevano. Per un supplemento di informazione avuta da fonte più che sicura, siamo in grado di dare la versione precisa del fatto.
Marco Riccardi, che nelle prime versioni era dato come ferito gravemente, dall’informazione controllata di oggi risulta che è stato ucciso sul colpo. È caduto in una imboscata tesagli dalla polizia, sul lago di Como. Egli è stato ucciso nella notte del 29 settembre ma la famiglia l’ha saputo solo il 6 novembre. È confermato che la polizia fascista ha spianato le rivoltelle sui tre, mentre questi tentavano di darsi alla fuga. È pure confermato che indosso agli arrestati e negli abiti dei feriti e degli assassinati non furono trovate né un’arma, né un volantino».
Circa un mese prima dell’articolo, in una lettera di Giuseppe Faravelli ad Antonio Pesenti scritta da Lugano, si racconta della stessa vicenda: «È accaduto un fatto gravissimo, cioè l’arresto di Amedeo (n.d.r. nome di battaglia di Marco Riccardi), il fiduciario del gruppo operaio di Milano. Ecco come sono andate le cose: un bel giorno Amedeo mandò da me un suo emissario (Roberto Pollastri) per accordarci sull’introduzione di un grosso pacco di una trentina di chili, contenente un ciclostile e del materiale di propaganda. In base alle intese, il pacco fu consegnato da me ad uno svizzero.
Il pacco arrivò in Italia e la sera del 28 lui Amedeo (in compagnia di altri, forse del Pollastri) sarebbe andato a ritirarlo (non so precisamente dove: con probabilità in quel di Como). Il 1° di ottobre ricevo una lettera anonima: “Amedeo arrestato”. La conferma dell’arresto mi è poi stata data indirettamente dalla sorella di Amedeo. Pare che sia stato arrestato anche il Pollastri, e anche un terzo, e che gli arrestati si trovino nel carcere di Como». Come invece sappiamo, a Como a fine settembre 1935 Riccardi era stato ucciso.
Il primo processo all’antifascista Roberto Pollastri
Dopo l’arresto, Roberto Pollastri fu condannato a 3 anni di reclusione. Sul Nuovo Avanti del 17 ottobre 1936 poco meno di una colonna è dedicata alla condanna di Pollastri.
«Il 2 settembre, dopo un anno di detenzione a Roma, ed esattamente nell’anniversario dell’assassinio di Marco Riccardi, i suoi compagni — Roberto Pollastri, Giuseppe Tamagni e Domenico Piotti – sono stati portati davanti all’infame Tribunale Speciale. L’udienza si è svolta nel più rigoroso segreto, come è d’abitudine da parecchio tempo a questa parte, perché il regime non ha più il coraggio di confessare al popolo italiano ed all’opinione pubblica mondiale che, dopo 13 anni di “rivoluzione” a getto continuo, dopo le mirabolanti “realizzazioni”, dopo l’Impero, dopo la “giustizia sociale”, è ancora e sempre costretto a difendersi dall’antifascismo dichiarato morto e sepolto le mille volte, e ad infierire col terrore contro una opposizione che non si dà vinta e che rinasce sempre più vigorosa ed implacabile, paladina della libertà e della vera giustizia sociale. […]
Una volta alle udienze del Tribunale Speciale era data una larga pubblicità e degli imputati erano indicati con precisione il nome, il titolo d’accusa e la qualifica politica. Poi i resoconti divennero sommari, e tutti gli imputati, a qualunque formazione politica si richiamassero, furono classificati sotto la medesima e solita denominazione di “comunisti” o di “antinazionali”. In seguito, il loro nome scomparve dai resoconti.
Ora anche i resoconti sono soppressi ed il massacro delle vittime si fa clandestinamente, come clandestina era stata la loro azione contro il regime. Il regime ha più che mai paura della risonanza disastrosa del suo terrorismo, ed è perciò che anche il processo dei compagni di Riccardi si è svolto alla chetichella, in presenza di sole camicie nere e di sbirri; mentre l’abbietta stampa fascista ha ricevuto ordine di tacere. Ciò stante, non siamo ancora in grado di fornirvi notizie complete sulla sorte degli imputali, uno dei quali avvertiva già in una lettera scritta poco prima del processo che “le mie accuse sono gravi, ma più che altro sono una montatura”.
Con riserva pertanto di darvi più precisi ed ampi ragguagli, vi comunichiamo che il compagno Roberto Pollastri è stato condannato a tre anni di reclusione, dopo che il pubblico ministero ne aveva chiesti dieci. Il compagno Roberto Pollastri è un operaio metallurgico sui trent’anni, purtroppo di salute cagionevole. Sappiamo di lui che era un giovane pieno di fede, venuto al socialismo in clima fascista, colto, serio, che in varie circostanze dette prove di grande coraggio e fervida dedizione al Partito. La vecchia mamma, che dopo un anno di lontananza aveva fiducia di riavere seco il suo sostegno, ora piange sola. Tutti i compagni sono con lei, riconoscenti, ammirati e memori del sacrificio di Roberto, combattente del socialismo sul fronte interno.»
La scarcerazione
Il 12 febbraio del 1937 viene alla luce a Napoli Vittorio Emanuele di Savoia, figlio di Umberto II e di Maria José del Belgio. In seguito alla nascita del principe, viene emanato un decreto di amnistia di cui possono beneficiare tutte le persone con pene non superiori a 3 anni (esclusi i detenuti politici comunisti). Per effetto dei provvedimenti di clemenza, Pollastri viene scarcerato.
In una lettera inviata a Eugenio Colorni, Giuseppe Faravelli scrive: «A Milano c’è il compagno Roberto Pollastri, compagno di Riccardi, condannato a 2 anni, poi amnistiato, che versa in condizioni pietose. Ha un’ulcera allo stomaco, che dovrebbe essere operata. Senonché la vita carceraria (e la miseria) l’hanno stremato in modo tale che prima di fare l’operazione deve rinforzarsi il fisico. È un bravissimo ragazzo e bisogna aiutarlo. Io gli ho mandato qualche cosa. Quando sarà guarito, bisognerebbe poi aiutarlo a trovare lavoro. Non è più soggetto a vigilanza speciale. Vedete se potete fare qualche cosa».
Nonostante le sue condizioni di salute, e in un contesto molto difficile dopo i numerosi arresti che hanno luogo nella primavera del 1937, Roberto Pollastri riprende l’attività clandestina. Ne abbiamo traccia in una missiva che scrive a Faravelli.
L’impressione è che Pollastri sia isolato: «Purtroppo i contatti che ho coi militanti attivi delle varie tendenze sono scarsissimi. Due o tre anziani socialisti della classe media. Il loro stato d’animo non è eccessivamente elevato e non hanno eccessiva chiarezza di idee: si aspettano la guerra e solo da questa la caduta del fascismo; non hanno fiducia nella massa e perciò escludono un movimento interno. Ho contatto anche con qualche elemento comunista, giovani operai da 25 a 30 anni; questi sono di morale più alto. Gli elementi socialisti di cui sopra non danno nessuna attività politica reputando troppo scarso il resultato che se ne avrebbe in rapporto al pericolo».
Roberto Pollastri informa Faravelli degli sforzi per formare un gruppo di elementi sulla trentina. Infine, aggiunge: «Ho l’impressione, e la maggioranza del popolo anche, che un’effettiva unità d’azione, un’alleanza dei partiti dell’opposizione – pur mantenendo la propria autonomia – sia forse decisiva ed indispensabile per provocare il crollo del fascismo. Quanto vorrei e quanto sarebbe utile poter parlare almeno qualche ora tra noi!!! Scrivimi quanto più a lungo e sovente ti è possibile».
Il secondo arresto di Roberto Pollastri
Roberto Pollastri fu nuovamente arrestato un anno dopo. Il 10 aprile del 1938 Pollastrie altri due componenti della sezione milanese del Fronte unico antifascista vengono arrestati a Milano. Hanno con loro una valigia che contiene numerose stampe di propaganda sovversiva e fogli con direttive per l’attività da svolgere. Nel bagaglio si trovano anche giornali editi all’estero da aggruppamenti comunisti, socialisti e di “Giustizia e libertà” e un foglio contenente istruzioni per la lotta contro il regime fascista.
I giudici li accusano di aver ricostituito e riorganizzato a Milano il “movimento socialista”: «Faravelli e Pollastri risultano dirigenti della organizzazione. Il Pollastri già condannato nel 1936 da questo Tribunale, per attività sovversiva, era il dirigente locale di Milano dell’organizzazione, ed aveva costituito per incarico del Faravelli, un gruppo cosiddetto autonomo. Riceveva tra l’altro copiosa stampa di propaganda che poi provvedeva a distribuire».
Con l’accusa di “associazione sovversiva” Roberto Pollastri è condannato a 18 anni e 10 mesi, la pena più alta, da scontare nel carcere di Portolongone (isola d’Elba).
I detenuti politici in carcere
Dall’inizio degli anni ‘30 i detenuti politici non sono più sottoposti al regime di isolamento, ma vengono riuniti in cameroni di loro esclusiva pertinenza. Diventa quindi di fatto possibile – a prezzo, ovviamente, di grandi rischi e di innumerevoli difficoltà – l’organizzazione di una vita collettiva e di un’attività politica clandestina. Soprattutto per iniziativa dei detenuti comunisti, che costituiscono circa il 70% dei condannati, sorgono i “collettivi”, dei quali possono far parte anche altri “politici” presenti nello stesso camerone, purché non abbiano presentato domanda di grazia e non abbiano compiuto atti di sottomissione nei confronti del regime.
Chi entra nel collettivo accetta di mettere a disposizione di tutti i componenti del gruppo il denaro e quanto altro riceva eventualmente da casa. Principale incombenza dei collettivi è l’organizzazione di gruppi con programmi di attività che comprendono lo studio individuale e collettivo.
Nonostante la prudenza usata, alcuni traffici (soprattutto di libri) tra le carceri e l’esterno vengono intercettati dagli agenti di custodia. Nell’estate del 1932 in tutti i penitenziari che ospitano antifascisti fa irruzione la polizia politica. In seguito, i detenuti politici vengono concentrati in alcuni carceri. Uno di questi è il carcere di Civitavecchia, dove Pollastri è rinchiuso dopo la prima condanna.
Lo stato d’animo dei prigionieri non è certo generalizzabile, ma dalle testimonianze emerge come i condannati vivano la loro eccezionale esperienza comunitaria quasi come un senso di liberazione. Finalmente possono parlare “liberamente” di politica, discutere coi compagni non braccati dalla polizia e istruirsi.
La deportazione di Roberto Pollastri con il Trasporto 53
Dopo la seconda condanna Roberto Pollastri è rinchiuso a Portolongone (isola d’Elba). In carcere, aderisce al Partito comunista.
Non viene liberato dopo il 25 luglio 1943 e rimane in carcere anche in seguito all’8 settembre. Viene deportato a Parma, a Fossoli e successivamente a Mauthausen con il Trasporto 53.
All’arrivo a Mauthausen a Pollastri è assegnato il numero di matricola 76523. È classificato con la categoria Schutz, abbreviazione di “Schutzhäftlinge, “deportato per motivi di sicurezza”, una delle categorie usate dai nazisti per i deportati politici.
Viene ucciso a Gusen tra il 16 e il 26 dicembre 1944.