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I dati parlano chiaro: il nostro Paese è uno degli attori principali nella commercializzazione di armi. Basti pensare che nel 2024, le aziende italiane hanno esportato armamenti per un valore di 6,5 miliardi di euro, con un aumento del 35% rispetto al 2023, anno in cui si era già registrata una crescita del 18% rispetto all’anno precedente (i dati completi sono disponibili qui). A questa cifra si sommano altri 1,2 miliardi di euro, relativi alla vendita delle “licenze globali di progetto” o di “trasferimento”, che riguardano progetti congiunti con Paesi alleati.

Nel dettaglio, il 9% degli armamenti è stato esportato in Paesi dell’Africa centro-meridionale, il 13%  è servito per rifornire Nord Africa e Medio Oriente, il 27% l’Asia, il 39% è rimasto in Europa, mentre la cifra restante è stata distribuita tra America e Oceania.

Esiste un modo per invertire la rotta? Un esempio positivo arriva dal bresciano, zona in cui si produce l’80% delle armi ed è quella della Valsella Meccanotecnica di Castenedolo.

Produzione armi Italia

Nel quinquennio 2020-2024 l'esportazione italiana di armi è cresciuta del 138% rispetto al periodo 2015-19. Nessun Paese al mondo ha registrato un aumento così significativo nelle vendite di armi pesanti.

Il Sole 24 OreRapporto dell’Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca della Pace (Sipri)

La storia della Valsella: la presa di coscienza

La Valsella Meccanotecnica nasce negli anni ’70 come azienda civile, poi, nei primi anni ’80, si sposta sull’industria bellica fino a diventare leader nazionale. Lo dimostrano le più di 9 milioni di mine vendute all’Iraq e impiegate sia nella Guerra del Golfo sia contro i curdi. Il prodotto simbolo dell’azienda è la Valmara ’69: una “mina saltamartino” che, azionata da fili di innesco, proietta un cilindro a circa 80 cm da terra disperdendo circa 2.000 frammenti a 360°, letale entro 27 metri e capace di ferire oltre 200 metri.

Negli anni ’80 in stabilimento lavorano una decina di ingegneri progettisti e una quarantina di operaie addette allo stampaggio.

Per anni in reparto vige il segreto militare: si “stampa” senza vedere il prodotto finito. La presa di coscienza arriva con un incontro in Camera del lavoro con Gino Strada e padre Marcello Storgato: immagini e filmati mostrano l’effetto reale di quelle mine, soprattutto sui civili. Un colpo allo stomaco, che diventa una scelta collettiva: fermarsi, ripensare il lavoro, immaginare un’alternativa industriale che non lasci macerie umane.

Valsella storia di riconversione

C’era il segreto militare. Noi sapevamo che facevamo armi di difesa del territorio. Stampavamo la mina, ma non la vedevamo completa. La svolta è stato l’incontro con Gino Strada, lui ci fece vedere delle foto, un filmato. Erano le nostre mine, i nostri seminatori. Quando ho capito cosa stavamo facendo, mi sono sentita male.

Franca Faita, sindacalista e operaia della ValsellaIntervista rilasciata a Il Giorno

La riconversione della Valsella: condizioni, rifiuti, una scelta netta

Le operaie occupano la fabbrica per impedire che escano stampi e documenti e la lotta che segue dura 4 anni, cresce nelle assemblee, si misura con la paura di perdere il lavoro, con i conti di fine mese, con i “no” che costano. L’azienda cerca di mettere tutto a tacere come spiega l’operaia e sindacalista della Valsella Franca Faita a Il Giorno: «L’azienda mi offrì un assegno in bianco, io rifiutai».

Nel 1997 il Premio Nobel per la Pace viene assegnato alla campagna contro le mine, di cui anche Faita è portavoce, ma lei non parte per Stoccolma: «In quei giorni stavamo occupando la fabbrica e non potevo permettermi di lasciare le mie donne qui, perché se mancava il sindacato c’era il rischio che uscisse il materiale». Nello stesso anno, la produzione bellica si arresta per sempre.

Due anni dopo, nel 1999, si affaccia una nuova proprietà con un progetto di riconversione ai motori elettrici. Sembra la svolta, ma c’è una condizione: il potenziale acquirente vuole monetizzare un brevetto per il disseminamento delle mine dall’alto e promette di utilizzare il denaro incassato anche per saldare le mensilità arretrate alle lavoratrici.

Dopo un’assemblea molto tesa, l’azienda riceve un comunicato con le decisioni assunte di comune accordo fra sindacato e lavoratrici: “Scopriamo ora che sarebbe vostra intenzione procedere alla vendita a Paesi stranieri dei brevetti e delle tecnologie relative alle mine anticarro ed ai cosiddetti “spargitori” di mine per elicotteri. Questa eventualità è da noi considerata inaccettabile”.

Incredibilmente, l’azienda rinuncia alla richiesta e prosegue nell’acquisto della Valsella. Segue una grande una festa, durante la quale i brevetti vengono distrutti, bruciati e le operaie martellano gli stampi delle mine.